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nuovo testo sull’emergenza abitativa a Cesena:

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IPERICO – BOLLETTINO (A)PERIODICO DELLO SPAZIO LIBERTARIO SOLE E BALENO

Iperico #13 – Inverno 2020/2021

 

Dall’editoriale.

Diciamo subito una cosa… nonostante tutto, siamo ancora qua. Nell’anno

appena trascorso, infatti, una epidemia di polmonite virale ha non solo

segnato un numero di contagiati e di morti maggiore rispetto ad

un’influenza stagionale, ma ha anche stravolto le abitudini e le vite di

noi tutte e tutti, e offerto al contempo un pretesto allo Stato per

rafforzare la sua presa autoritaria su di queste, con il varo da parte

del governo Conte di decreti di emergenza, coprifuoco, divieto di

spostamenti, autocertificazioni, multe, che poco hanno a che vedere con

la salvaguardia della salute ma molto con l’estensione del controllo

poliziesco e tecnologico.

Siamo entrat* in una fase nuova. Diritti creduti intoccabili in regime

democratico, sono stati bypassati senza troppi patemi dall’oggi al

domani. Chi fantastica su di un mondo dove l’elemento umano sia

drasticamente ridotto, si è fatto avanti proponendo la mediazione

tecnologica come soluzione al momento che stiamo vivendo. Tra

“distanziamento sociale”, “didattica a distanza”, “smart working” e

“contact tracing”,  nuovi dispositivi di sorveglianza e di tracciamento,

che aspettavano il momento buono per venire introdotti, ci sono stati

descritti come la panacea per risolvere questo difficile momento

storico. Informatizzazione dei dati, digitalizzazione, automazione,

domotica, passaporto sanitario, droni, app… Presentati come

temporanei, questi dispositivi probabilmente non se ne andranno mai.

La comparsa del covid19 ha portato ad un’accelerazione di dinamiche già

in atto da tempo, che hanno approfittato della congiuntura favorevole

per inoculare il loro veleno in un corpo già ammalato, ed è bene che ne

prendiamo atto.

La gestione dell’epidemia, o meglio della crisi sanitaria generata dalle

insufficienze croniche del settore sanitario pubblico, dimostratosi

assolutamente carente per via dei continui tagli effettuati in queste

ultime decadi dai governi di ogni colore, ha mostrato meglio di mille 

teorie come di fronte ad una emergenza, l’unica  cosa che  conti davvero

per chi detiene il potere sia salvaguardare quel che ritiene

“essenziale”, ovvero la produzione di merci ed il loro consumo, che non

deve rallentare nemmeno di fronte alla certezza che lavoratrici e

lavoratori si ammalino.

Tempo libero, svago, sport e cultura, secondo il governo invece non

sarebbero “essenziali”.

Che il lavoro continui e “se qualcuno muore, pazienza!”, come detto con

sprezzante onestà dal presidente di Confindustria Marche. Che muoiano

pure malati e anziani, tanto “non sono indispensabili allo sforzo

produttivo del paese”, come ha scritto in un post il presidente della

Liguria, Giovanni Toti.

Muoia il salariato e l’inabile al lavoro, insomma, se ciò serve a far

arricchire industriali e padroni, che ne escono con le tasche gonfie. 

Chi era ricco lo è diventato di più; e dato che la coperta se la tiri da

una parte lascia scoperta l’altra, c’è chi è diventato più povero.

Di fronte alla possibilità concreta che esplodessero rivolte

generalizzate, alle prime avvisaglie di proteste un po’ più arrabbiate

del solito, lo Stato è corso ai ripari, concedendo bonus spesa e

ristori. Elemosine! Il grosso della torta, come sempre, l’ha avuto la

grossa industria, pur se come noto al contrario delle piccole attività

le fabbriche non hanno mai veramente chiuso i battenti.

Il governo ha poi concesso, pur tra proteste di proprietari e di

Confedilizia, la sospensione degli sfratti (ma non il blocco degli

affitti e nella pratica ci sono stati sfratti a spazi occupati, di

“movimento” e non), consapevole che la questione casa potrebbe diventare

un tema caldo… si tratta comunque di una bomba ad orologeria, che prima

a poi deflagrerà, visto che non potranno/vorranno prorogare la

sospensione all’infinito.

Chi tiene in mano le redini della diligenza sta approntando all’uopo

tutta la serie di divieti, controlli, sanzioni, dispositivi che la

fantasia gli suggerisce (e l’arrivo di Mario Draghi al governo è un

segnale ben preciso).

Chi credeva alla favola dell’agonia dello Stato-nazione, si dovrà

ricredere. Lo Stato – dismessi da tempo i panni logori

dell’assistenzialismo paternalista per vestire quelli antisommossa delle

sue polizie – non è mai apparso così baldanzoso e necessario al potere.

L’esecutivo di governo ha incanalato la retorica nazionalista del “siamo

tutti sulla stessa barca” verso i comportamenti individuali da evitare,

recepita mediaticamente dai moralizzatori della vita altrui che hanno

dato vita ad una caccia all’untore di manzoniana memoria.

Che anche tra coloro che si pretendono “compagnx” ci sia stato chi ha

aderito alla battuta di caccia (…alle streghe!), mentre ci si

continuava ad ammalare veramente sul lavoro e sui mezzi pubblici, e

mentre i posti letto si riducevano per responsabilità ben individuabili,

ha contribuito a far sì che si potesse distogliere l’attenzione dalle

colpe di chi si è arrogato il diritto di amministrare le nostre vite.

Questo, sia ben chiaro, non vuole assolutamente dire che sottovalutiamo

il rischio, come fanno coloro che si abbeverano allo stagno putrido

delle teorie del complotto, ma significa provare a vedere aldilà del

proprio naso, non farsi accecare dalla propaganda dello Stato e saper

riconoscere quali sono le reali cause di quanto accaduto e sta

accadendo.

Il compito che ci aspetta è arduo, la frammentazione creata da una parte

da chi crede ad un’oscura cospirazione mondiale finendo per abbracciare

i deliri delle destre e, dall’altra, da chi volontariamente si fa sbirro

e delatore puntando il dito sulle condotte da sanzionare, non renderà

per nulla agevole il lavoro di ricomposizione di un fronte di lotta che

possa non solo resistere ai colpi che sicuramente arriveranno (sociali,

economici, politici) ma sappia anche attaccare l’insieme di dispositivi,

istituzioni, relazioni e infrastrutture nefaste che vanno sotto il nome

di dominio.

Le maniche andranno rimboccate… Intanto, iniziamo questo 2021 con un

nuovo numero di “Iperico”, il nostro (e anche vostro) bollettino che non

usciva da tempo, e che potrete trovare on-line e in versione cartacea,

scaricandolo e fotocopiandolo dal sito del “Sole e Baleno” o trovandolo

alle iniziative che ci auguriamo ci saranno. Vogliamo, in questo modo,

dare anche in maniera fisica un senso di continuità ad un percorso che

non si è mai interrotto. Un percorso intrapreso anni fa, e sul cui

terreno (spesso in salita) abbiamo ancora voglia di camminare. Percorso

che si è arricchito recentemente anche di una, diciamo così, versione

radiofonica: “Radio Iperico”, radio in streaming di cui vi parliamo in

quarta di copertina.

Per finire, vogliamo ringraziare chi, fin dal marzo 2020, in coincidenza

con la prima fase virale, che necessariamente ha visto la temporanea

chiusura dello Spazio Libertario, ci ha sostenuto sia economicamente,

con l’acquisto delle cartoline benefit stampate a mano una ad una, sia

contribuendo in altro modo ai progetti messi in campo: la radio appunto,

il riordino della biblioteca interna dello spazio, la partecipazione al

sito www.anticorpi.noblogs.org, e anche le occasioni avute di vederci

dal vivo nei parchi, cercando di autogestire la prevenzione nel rispetto

della sensibilità di ognun*.

  … nonostante tutto, siamo ancora qua.

 

scarica qui l’intero numero di “Iperico”>   IPERICO #13

 

 

 

 

E SONO 10 ANNI!

Incredibile pensare che siano già passati dieci anni, ma è proprio così.

Sono passati dieci anni dall’apertura dello Spazio Libertario “Sole e Baleno”.

Sono passati dieci anni dallo sgombero del Confino Squat, casa occupata e autogestita per oltre 8 anni nella campagna cesenate, contenitore spontaneo di idee, passioni ed eventi.

Sono passati dieci anni dal girovagare in cerca di un locale adatto a contenere qualcosa di nuovo che potesse colmare un vuoto.

Fu in seguito allo sgombero del Confino Squat, infatti, che alcune individualità legate al luogo e al collettivo che lo gestiva, decisero di aprire un nuovo spazio.

L’idea era recuperare la biblioteca Info Shop già esistente e portarla vicino al centro storico della città, perché fosse più visibile e più accessibile a tutte e tutti.

Così nasce lo Spazio Libertario “Sole e Baleno”, per colmare un vuoto, per ridare spazio ai libri e per creare un luogo di incontro in cui discutere di tematiche libertarie e antiautoritarie.

Uno spazio in cui presentare libri e filmati, in cui sostenere campagne, discutere di tematiche importanti, ma anche in cui sperimentare quotidianamente la pratica dell’autogestione, della condivisione e dell’autoorganizzazione attraverso assemblee, cene, concerti e feste.

È bello pensare di essere ancora qui, dopo dieci anni!

Dieci anni di soddisfazioni e di lotte, talvolta anche di difficoltà.

È bello accorgersi di essere riusciti a mantenere una linea coerente, anche nelle avversità.

È bello continuare a portare avanti le nostre idee, senza paura di definirci anarchiche e anarchici, superando, attraverso il rapporto umano con altri individui e collettivi, l’alone negativo che le istituzioni e i media tentano di appioppare a tale idea e pratica di vita.

In questi dieci anni abbiamo visto nascere tanti progetti e collaborazioni, abbiamo conosciuto nuove compagne e nuovi compagni e portato avanti molte lotte.

Crediamo che, ad oggi, lo Spazio Libertario “Sole e Baleno” sia diventato un punto di riferimento aggregativo, antagonista e di resistenza.

Un luogo importante nel territorio, di cui non potremmo fare a meno.

Siamo qui dopo dieci anni per alzare i calici col sorriso ed augurarci altri dieci, cento, mille di questi giorni.

 

 

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL CINQUANTENARIO DEL ’68

   

C’è un humus che feconda il ’68, che è fatto da giovani ragazze e ragazzi che entrano in rotta di collisione con la società borghese bigotta e perbenista, patriarcale, illiberale, razzista, classista, fascista, clericale e sessista. La libertà: è la libertà la cosa che vogliono poter esprimere o praticare, più di ogni altra cosa.

Le primissime forme di rottura avvengono nel modo di vestirsi, nel portare i capelli lunghi (i primi capelloni), le prime gonne corte; un universo di figli dei fiori o freaks, come venivano chiamati, che stanno insieme in posti della città creando aggregazioni all’aperto, che suonano e cantano, che sperimentano le prime sostanze allucinogene per allargare la coscienza, leggono cose alternative fuori dalla cultura classica ufficiale creando una loro controcultura, vivono insieme nelle comuni in città come nelle campagne, fondano centri di medicina alternativi, centri di alimentazione, si riappropriano di tante cose. Insomma costruiscono uno stile di vita alternativo rispetto al potere.

L’aumento della scolarizzazione di massa è un fattore determinante: cresce la coscienza politica nelle scuole medie superiori e nelle università, tanto che all’inizio della contestazione, nell’anno scolastico ’67/’68, sono un centinaio le occupazioni di università a livello internazionale, dato destinato ad aumentare negli anni successivi.

Parlando del ’68 si può senz’altro, però, individuare una data divenuta un simbolo. Il fenomeno inizia, infatti, qualche anno prima con l’occupazione dell’Università di Berkeley negli Stati Uniti da parte del Free Speech Movement (Movimento per la libertà di parola) che chiede di revocare il divieto da parte dell’autorità di “fare politica” all’interno dell’università insieme alla rivendicazione della libertà didattica e di quella di ricerca. Quel movimento che sembrava circoscritto e facilmente controllabile dà invece vita a quella “contestazione globale” che coinvolge e contamina, fecondamente, le nuove generazioni di mezzo mondo e che si estende ben al di là dei confini universitari. Ci sono tratti comuni in ogni paese (l’opposizione alle guerre imperialiste, per esempio) tuttavia il movimento degli studenti assume caratteristiche proprie di radicalità in relazione delle specifiche culture e ai diversi assetti politici e istituzionali, ciò che porta a differenti sbocchi del movimento che variano di paese in paese.  

Negli USA importanti sono le grandi manifestazioni di massa contro la guerra in Vietnam e la discriminazione razziale (con la nascita delle Black Panther), i grandi raduni musicali e le comunità degli hippies, ma anche le azioni armate dei Weathermen Underground, mentre la cultura marxista è marginale ed elitaria. In Francia, in Germania ed in Italia assume invece dei caratteri più marcatamente politici. In Francia, nel maggio ’68, il movimento assume un indirizzo più radicale e consapevole oltre che ludico e creativo; più libertario ed innovativo sul piano politico, rispetto alla tradizione marxista. Non a caso gli slogan si rifanno anche all’anarchismo o al marxismo eretico: da quel connubio nascono i situazionisti. Capofila di questi è Guy Debord.

In Germania già dal 1923 vi era stato l’Istituto di Ricerca Sociale (la famosa “Scuola di Francoforte”) che influenza fortemente, attraverso la sua riscoperta, i gruppi della sinistra radicale nati una quarantina di anni dopo. In Olanda nascono invece i Provos, costola più politica dei beatniks.

Il caso dell’Italia, con il Partito Comunista più forte dell’intero occidente, è particolare. Nel ’56 con la brutale invasione dell’Ungheria e poi con quella della Cecoslovacchia nell’agosto ’68 da parte dell’Armata Rossa, il PCI prende le difese dell’URSS, con ben sporadiche critiche da parte della sua dirigenza. Da questa disillusione nascono le prime forme critiche che porteranno alla comparsa di giornali e riviste come “Quaderni Piacentini”, “Il Politecnico” e tante altre, che partono da analisi sociopolitiche sull’operaismo, sulla trasmissione orizzontale del sapere, sulla cultura dell’alienazione tout-court (del lavoro e non solo) e tanto altro. Danno strumenti di crescita e conoscenza critica, che la base studentesca media universitaria più radicale identifica con la lotta che mette in discussione la politica e le posizioni della sinistra tradizionale. Tensioni e contraddizioni maturano tra i giovani e provocano una situazione che li fa sentire sempre più fuori dagli schemi degli “adulti” mentre, parallelamente, si registra una crisi nella trasmissione dei valori (famiglia, scuola, lavoro, autorità, religione, sessualità, costumi e modo di vivere gli affetti) su cui si è costituita e riprodotta la società italiana nei decenni precedenti e nei passaggi inter-generazionali.

Nelle scuole nasce quindi il movimento studentesco che rompe con le tradizionali forme dell’associazionismo giovanile. La talpa della critica giovanile e studentesca dimostra di avere avuto la forza di erodere il tessuto connettivo dell’associazionismo del dopoguerra, legato ai partiti, dei suoi valori e delle sue funzioni. Un processo di aggregazione molecolare di base spontaneo che dà vita a gruppi non più controllati da apparati centrali, che non devono più rendere conto a gerarchie burocratiche e partitiche (questo almeno sulla carta). Il movimento studentesco, nel suo insieme, mette in discussione tutto: la fabbrica, la produzione, il potere finanziario, la morale, i tabù sessuali, la religione, l’alienazione, ma anche la tradizione antifascista solo celebrata e non attualizzata nel presente attraverso la lotta ai gruppi neofascisti, e ovviamente lo Stato e la sua repressione.

Queste premesse danno poi il via alle occupazioni delle scuole italiane dove ci si riappropria di un sapere circolare e orizzontale, di un diritto alla conoscenza in opposizione a quello verticista, burocratico, fascista, classista e nozionista atto solo a creare le nuove classi dirigenti del sistema capitalista.
Tra gli studenti radicalizzati sono presenti molte tendenze e posizioni politiche: nella maggior parte vi è il rifiuto dello stalinismo e del riformismo tipico delle socialdemocrazie, così come la negazione del ruolo del partito guida e dell’avanguardia. Nella ricerca di una nuova base ideologica si torna alle concezioni che erano state all’origine del primo movimento socialista europeo. Al posto del centralismo democratico la democrazia diretta, il movimentismo, l’agire spontaneo, l’autorganizzazione dal basso degli oppressi: l’assemblea o il collettivo invece che la delega rappresentativa. Maoismo, anarchismo, spontaneismo, luxemburghismo, trotzchismo, il Marx dei Grundrisse, castrismo, guevarismo (e stalinismo di ritorno: vedi il Movimento di Mario Capanna) ma anche linguistica, psicoanalisi, antipsichiatria, sociologia critica, strutturalismo, esistenzialismo, francofortismo rappresentarono la base ideologica della “Nuova Sinistra”.

Parallelamente, con l’ingresso in fabbrica, migliaia di giovani, molti dei quali provenienti dalle regioni del sud (emigrazione interna) incominciano a buttarsi con slancio nelle nuove forme di lotta, esprimendo una aspirazione alla libertà, alla democrazia dal basso dentro e fuori i luoghi di lavoro. Una grande volontà unitaria e una diffusa tendenza a forme di vita associativa profondamente nuove. Nelle nuove forme di lotta essi sono mossi da una coscienza impulsiva contro “il clima di fabbrica”, il lavoro a catena giudicato noioso, snervante, monotono; contrari a trattare aumenti di salario in base all’aumento dei ritmi della lavorazione o alle ore di straordinario. Per questi giovani, stare in fabbrica è una fatica che ruba le ore della vita, quelle da dedicare al tempo libero, allo svago e al divertimento. Inizia perciò una grossa conflittualità radicale contro queste condizioni, attraverso azioni di sabotaggio e le prime forme di autorganizzazione sindacale. Un esempio per tutti, a Milano la nascita dei CUB (Comitati Unitari di Base) che in molte fabbriche aggregano migliaia di giovani operai e operaie, e che a partire dai grossi centri operai del nord Italia si diffondono a macchia di leopardo in tutto il paese. Queste forme di radicalità diffusa entrano ben presto in rotta di collisione con i sindacati tradizionali e si producono in violenti scontri con le forze dell’ordine. Lotte contro l’essenza stessa del capitalismo, contro la società dei consumi (il famoso “produci-consuma e crepa”) cioè quello strumento, quella filosofia sottile con la quale operai, impiegati, contadini e studenti vengono sempre più integrati nel sistema.

Al pari degli studenti, i giovani operai danno alla lotta un significato e una valenza che travalica le richieste contrattuali. La loro battaglia investe gli stessi istituti produttivi: la fabbrica, l’organizzazione del lavoro, la gerarchia, la disciplina dei produttori e gli assetti che reggono la società capitalista, comprese le sue norme legislative e costituzionali. Vogliono insomma anch’essi un cambiamento radicale rivoluzionario.

Anche i sindacati e i partiti di sinistra, a parole, vogliono un cambiamento ma agiscono nelle compatibilità istituzionali: miglioramenti, contrattazioni, mediazioni al fine di risolvere i conflitti ma lasciando intatto il sistema. I giovani, in definitiva, concepiscono la politica come conflitto permanente capace di liberare nuovi soggetti da immettere nella lotta contro i simboli del sistema. In questa dimensione non c’è spazio per la mediazione e la ricomposizione degli equilibri politici e sociali; il conflitto, la lotta di classe aveva quasi una dimensione catartica: attraverso la prassi quotidiana dello smascheramento del potere si educa una generazione rivoluzionaria.

È proprio dall’incontro tra il movimento studentesco e le lotte nelle fabbriche che scaturisce un’esperienza collettiva di massa che coinvolge migliaia e migliaia di giovani e che rappresenta l’humus dal quale nascono i gruppi, le organizzazioni e i partiti della sinistra extraparlamentare, il cui substrato è fornito dall’intervento politico di massa ai cancelli delle fabbriche, dalle riunioni organizzative alla fine di ogni turno di lavoro, dalla discussione collettiva per la redazione dei volantini, dall’organizzazione delle assemblee miste operai-studenti ma anche dagli scontri con i crumiri e con la polizia e dalle prime azioni – anche armate – contro neofascisti, padronato e capireparto responsabili delle schedature dei lavoratori “sovversivi”. Nasce così uno stile di agitazione e iniziativa politica che avrebbe caratterizzato anche negli anni seguenti una intera generazione di militanti del movimento, aldilà delle frammentazioni organizzative (a volte anche deleterie) in gruppi e fazioni diverse.

Tutto quanto detto fin’ora va inquadrato in una nuova dimensione dello stare insieme, nel costruire rapporti di solidarietà, nel sentirsi costruttori di una società altra nei rapporti tra le persone e nel mettere in discussione – distruggendone i ruoli prestabiliti – anche la società patriarcale e maschilista che ha sempre relegato le donne in secondo piano.

Contro questo variegato movimento gli apparati di Stato (anche stranieri) e i padroni – cioè quello che sarà chiamato il “partito del golpe” – giocheranno la carta della repressione e della cosiddetta “strategia della tensione”. Niente sarà più come prima. Il tentativo di questo “assalto al cielo” non è stato certo indolore. Una vulgata comune dice che “la rivoluzione non è un pranzo di gala” e gli apparati di potere non sono certo stati a guardare. In tutto il mondo questi, sentendo venir meno la terra sotto i piedi, hanno messo in campo mezzi alla massima potenza e hanno risposto con una feroce repressione poliziesca che ha lasciato nelle piazze, nelle strade e nelle carceri una lunga scia di sangue. Persone torturate od uccise che semplicemente volevano un mondo nuovo!

Possiamo dirci ora, a distanza di 50 anni, che quel mondo nuovo – che è ancora lungi dall’apparire – lo portiamo ancora nei nostri cuori e nel nostro agire quotidiano, per quanto diversi possano essere i tempi in cui viviamo. Soprattutto non dimentichiamo!

 

B.

 

 

È LA NOSTRA STORIA, NON UN FILM…

BOICOTTA IL FILM AMOR Y ANARQUIA!

In questi giorni stanno per cominciare le riprese di un film sulle
vicende in cui trovarono la morte, nel 1998, Maria Soleda Rosas e
Edoardo Massari, detti Sole e Baleno, accusati di essere tra gli autori
di alcuni sabotaggi avvenuti in Val Susa negli anni precedenti. La
realizzatrice è Augustina Macri, figlia dell’attuale presidente
argentino. Il film è basato sul best seller Amor y Anarquia (che è anche
il titolo del film), di Martin Caparròs, scrittore argentino, piombato a
Torino nei mesi seguenti alla loro morte, riuscendo con l’inganno a
farsi consegnare da alcuni compagni e dalla famiglia di Edo carteggi ed
informazioni utili alla sua ricostruzione giornalistica.
Oggi da quel libro si vuole realizzare un film spazzatura in cui la
storia di due compagni viene recuperata, riadattata e mercificata. A
distanza di 20 anni una nuova speculazione su questa storia è in atto da
parte della regista Augustina Macri figlia del presidente argentino. Le
riprese ed i casting sono in programma a Torino.
Rifiutiamo quest’opera di spettacolarizzazione della storia del
movimento di quegli anni e delle vite dei militanti che vi
parteciparono, boicottiamo le riprese del film Amor y Anarquia, la
nostra lotta non è un film.
Sole e Baleno vivono nelle lotte

Da http://radioblackout.org

Sul film Amor y Anarquia

In questi giorni sono iniziate a Torino le audizioni per la selezione
delle comparse del film “Amor y Anarchia” opera prima della regista
Agustina Macri, figlia dell’attuale presidente neo-liberista argentino.
Il film pretenderebbe di raccontare la vicenda di Edo “Baleno” e Sole
morti suicidi mentre erano reclusi, lui in carcere il 28 marzo 1998 e
lei mentre si trovava agli arresti domiciliari l’11 luglio dello stesso
anno. Ad ispirare la narrazione cinematografica è il libro omonimo, mai
pubblicato in Italia, del giornalista (sciacallo) Martin Caparros, che
subdolamente, fingendosi un compagno argentino, riuscì a farsi dare
carteggi e diari privati di Edo e Sole. Proprio da quel materiale ne
trasse il romanzo che in Argentina divenne un best seller e che ora
ambisce a diventare film. Nel film come nel libro si parla, in maniera
distorta, della storia dei nostri compagni e di chi quei giorni convulsi
li ha vissuti sulla propria pelle. Oltre ad averli uccisi, quasi
vent’anni dopo il “sistema” vorrebbe farne un prodotto commerciale,
rendendoli protagonisti di un film spazzatura in cui le persone sono
degli stereotipi tali e quali ai media main stream ci hanno sempre
raffigurati, folli asociali e che si esprimono solo con slogan. Loro non
avrebbero mai voluto diventare “merce” e neanche tutte le persone
coinvolte e rappresentate dal romanzo e dal film, che in quella stagione
si sono trovate a combattere contro la magistratura, la polizia e i
media che avevano creato i “mostri”. Amici e compagni di allora e di
oggi ci stiamo trovando davanti al cineporto di Torino nel luogo dove si
tengono le audizioni, con una presenza quotidiana aspettiamo l’arrivo di
chi vorrebbe fare la comparsa, a voce e con volantini spieghiamo perché
questo film è da boicottare. La maggior parte delle persone decidono di
non essere complici di quest’opera di sciacallaggio, mentre alcuni
addetti ai lavori della Torino film commission e della produzione del
film ci dicono che è giusto contestare ma non è democratico impedire la
realizzazione dell’opera. Sia chiaro della vostra democraticità non ci
interessa nulla, in quanto se vogliamo parlare di rispetto delle idee
siete stati i primi a perpetrare un atto di violenza e fascismo pensando
di realizzare questo film: Sole e Baleno non avrebbero mai accettato di
essere protagonisti di un film, tanto meno i loro compagni e le loro
compagne. Il movimento di solidarietà nei loro confronti aveva già
allora individuato nei mezzi di informazione un nemico funzionale al
potere: il poliziotto arresta, il giudice condanna e il giornalista crea
il nemico della democrazia, se poi da una storia di ribellione e
rivoluzione si riesce a recuperare tutto e a trasformarlo in qualcosa di
finto e magari a guadagnarci dei soldi è ancora meglio. Di vero c’è che
siamo nemici di questo sistema, così come lo erano Sole e Baleno, per
questo continuerà la nostra presenza disturbatrice al cineporto,
cercheremo di impedire la realizzazione di questo film che malgrado la
nostra contrarietà ci vede protagonisti, oggi come vent’anni fa. Non
vogliamo essere rappresentati da chi non ci conosce, da chi pretende di
conoscere i nostri sogni e i nostri ideali, ma sta dall’altra parte
della barricata e soprattutto non vogliamo divenire mercanzia, non
vogliamo e non accetteremo che la nostra rabbia venga trasformata in
spettacolo, non siamo merce in vendita, non lo erano Sole e Edoardo. Non
ci interessa il dialogo e il confronto con voi, siete nostri nemici, lo
eravate nel 1998 e lo sarete domani, la vostra, travestita da
democrazia, è solo arroganza fascista, vi sentite in diritto di potere
mercificare ogni cosa, in nome dell’arte pretendete di raccontare storie
e vite che non vi appartengono. Agustina prima di chiedere di parlare
con noi pensa allo schifo che hai dentro casa, chiedi a tuo padre di
Santiago Maldonado, scomparso durante la violenta irruzione della
gendarmeria argentina nella comunità mapuche di Cushamen lo scorso primo
agosto, chiedi dei 30000 desaparecidos di cui non vuole più sentir
parlare! Forse la regista non è abituata a sentirsi dire no, ma alle
volte succede che qualcuno la pensi in maniera diversa, in questo caso
non abbiamo voglia di sentir parlare delle nostre vite e della nostra
storia: un NO resta un NO, per noi al contrario di chi testardamente ha
deciso che il film va realizzato ad ogni costo, il nostro NO non è un
capriccio, o un vezzo d’artista, per noi è questione di sentimenti:
dolore, rabbia, rispetto, memoria, dignità, amore e anarchia… quelli veri.

 

 

LA MORTE DELLA LIBERTÀ IN NOME DELLA SICUREZZA

A breve il governo Gentiloni, erede e continuatore del governo Renzi, varerà una serie di misure per l’ordine pubblico e il controllo sociale, un vero e proprio “pacchetto sicurezza” continuatore di quelli passati dei governi Berlusconi (che non a caso vengono oggi presi a modello dai governi a guida PD). A darne notizia è stato il Ministro dell’Interno, il piddino Domenico “Marco” Minniti, già in passato a capo dei servizi segreti civili in veste di sottosegretario del governo Renzi ed esponente di primo piano del Partito Democratico. La prossima legge riguarderà principalmente i sindaci, a cui verranno dati nuovi poteri e un ampliamento di quelli che già detengono, con facoltà nei propri territori comunali di applicare normative restrittive contro l’accattonaggio, la prostituzione, il fenomeno del writing ed altre categorie di comportamenti considerati molesti o causanti “degrado”, come la semplice esibizione pubblica di povertà nei centri urbani, luoghi da cui dovrà essere totalmente bandita ad uso e consumo di commercianti, negozi, multinazionali e acquirenti col portafogli ben gonfio.

Dare più poteri ai sindaci in materia di sicurezza, significa far diventare ogni singolo sindaco un potenziale sceriffo. Già oggi, senza questa legge, i sindaci della Lega Nord, delle destre, subito imitati da quelli del PD, emettono ordinanze anti-degrado che vanno in questa direzione, a totale discapito della libertà personale. L’approvazione di questa legge, ne siamo certi, darà mano libera a questi impulsi reazionari, miranti a criminalizzare ogni comportamento giudicato scorretto, anche solo mangiare un panino seduto su una panchina o sedersi su un prato. L’obiettivo è come al solito la persona povera, l’immigrato, il senza stabile dimora, colui che è dedito ai piccoli traffici e ai piccoli espedienti per riuscire a campare in una situazione in cui chi è ricco si arricchisce sempre più mentre, al contrario, che è povero sprofonda nel baratro di chi non possiede nulla e nell’emarginazione sociale. La soluzione alla povertà sociale passa attraverso la lente dell’ordine pubblico e delle misure repressive. Come sempre la sicurezza che si intende è dunque solo quella dei padroni, dei ricchi, dei benestanti, dei benpensanti, dei garantiti.

Oltre all’ampliamento dei poteri dei sindaci, il pacchetto di leggi del Ministero prevede anche un inasprimento delle pene per quei crimini minori, come detto derivanti dalla povertà sociale. Oltretutto è prevista anche una specie di DASPO (già applicata in ambiti sportivi per impedire l’accesso agli stadi) da applicare a questuanti “molesti”, ladruncoli, prostitute, piccoli spacciatori ed anche writers che graffitano sui muri delle città (gravissimo reato, al cospetto della gentrificazione urbana che sta rovinando le città con milioni di metri cubi di grigio cemento) a cui potrà essere inibita la frequentazione di una parte del territorio comunale per un tempo variabile di mesi. Una misura che, ne siamo certi, se dovesse passare, pian piano potrebbe vedere ampliata la sua sfera di applicabilità anche ad altri campi e per altre figure, come ad esempio il militante nelle lotte sociali, l’attivista per le libertà politiche, il sindacalista di base, il lavoratore che protesta per la sua condizione lavorativa e così via.

Nello stesso pacchetto di leggi, vi è anche – e come poteva mancare – l’ampliamento della telesorveglianza, con il massiccio finanziamento per l’installazione di centinaia di telecamere di nuova generazione, e con dispositivi di controllo sempre più sofisticati in mano alle forze di polizia e all’esercito (in funzione di deterrenza e ordine pubblico) che permettano di risalire in tempo reale all’identità del sorvegliato. Questo in nome, ufficialmente, della lotta al terrorismo, sull’esempio francese. In realtà per una propensione mentale al controllo sociale, alla vera e propria sorveglianza di tutti coloro che abitano le città e i territori, i cui movimenti, azioni e comportamenti debbono rimanere costantemente sotto il vaglio dell’autorità preposta. L’esempio francese, con una stato di emergenza che dura ormai da più di un anno (chiusura delle frontiere, divieto di manifestazione e assembramento, perquisizioni domiciliari arbitrari da parte della polizia, militari armati nelle strade, checkpoint, blocchi stradali, zone rosse, videocontrollo totale) è davanti ai nostri occhi. L’incubo distopico di Orwell non è poi così lontano. Anzi, forse ormai lo si sta superando in fantasia.

Nello stesso pacchetto, poi, i “democratici” del PD intendono inserire anche le norme riguardanti la riattivazione del sistema dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) in cui relegare gli immigrati in attesa dell’espulsione. Questi centri, al centro di proteste e rivolte dei reclusi nel recente passato e perciò quasi tutti chiusi, ora vengono ripescati magicamente dal cilindro dal Ministro Minniti, che ne vorrebbe fare attivare uno per ogni regione. Veri e propri campi di concentramento, i CIE, per chi non ha i documenti in regola ed ha un altro colore della pelle e si ritroverà ancora una volta rinchiuso senza aver commesso alcun reato e poi espulso come indesiderato. Un abominio dal sapore razzista e nazista che trova posto nell’agenda di un partito che si chiama democratico (ma non dimentichiamo nemmeno che i centri precursori dei CIE, ovvero i CPT erano stati fortemente voluti dal centro-sinistra al governo, attraverso la legge Turco-Napolitano, quindi bisogna dire che nemmeno questa volta gli eredi del PCI-PDS-DS-PD si sono smentiti). L’impostazione di Minniti e del governo, infatti, è quella dell’equazione, cara alle destre securitarie e xenofobe, che identifica la “minaccia terroristica” con l’immigrazione. Minniti, assieme al capo della polizia, Franco Gabrielli, già alla fine di dicembre 2016 aveva presentato una prima bozza del piano anti-immigrati che prevedeva, oltre alla riapertura dei CIE, anche l’obiettivo di accelerare le espulsioni per gli immigrati e la possibilità di prelevare impronte, dati biometrici e DNA agli “irregolari” mentre per i “regolari” e i richiedenti asilo Minniti propone l’estensione dei rimpatri “volontari” e dei lavori socialmente utili non retribuiti.

Seguendo questo corso della politica istituzionale in materia di pacificazione sociale per mezzo di repressione e divieti, non devono stupire le cariche avvenute qualche giorno fa, a metà febbraio, all’Università di Bologna, dove centinaia di studenti che protestavano per l’introduzione dei tornelli nelle sale lettura e per la possibilità di accedervi solamente col badge elettronico, sono stati caricati a freddo dalla Celere fin dentro le aule universitarie. Tra l’altro questo avviene dopo la chiusura a Bologna, da parte di rettorato e polizia, alcuni anni fa, delle aule autogestite dagli studenti. Un atto di forza che è un avvertimento delle intenzioni del ministero degli interni, del governo e delle istituzioni locali che lo rappresentano. Questo è solo l’assaggio di cosa attueranno le politiche dei prossimi governi contro le opposizioni sociali (e contro chiunque protesti) se da parte di queste ultime non vi sarà la capacità e la volontà di contrastarle attivamente.

 

 

CONTRO LA RELIGIONE DELLE MERCE E IL SACRIFICIO DEL LAVORO

 

Le festività di Dicembre e Gennaio sono finite. Quelle di Pasqua si avvicinano. C’è chi dice, dolendosene, che tutte queste feste abbiano perso del tutto il loro senso originario, la dimensione religiosa con cui sono nate e si sono diffuse.

Eppure, a ben guardare, l’aspetto fondamentale – e cioè il fatto che un rito religioso continua ad essere celebrato – è ancora ben presente.

Infatti, come altro considerare se non religioso il rito collettivo, che coinvolge milioni di persone ogni anno, a scadenze prestabilite (Natale, Capodanno, Epifania, Pasqua…), quando ci si reca in pellegrinaggio nei nuovi templi e chiese della religione della merce, per seguire il comandamento che dice: compra, acquista, spendi!?

Quasi nessuno può sottrarsi a questo rito comunitario, checché ne possa dire. Ormai è entrato a far parte della stessa dimensione mentale di ognuno. È accettato: si deve fare così!

Vi è da aggiungere, a questo riguardo, anche un’altra importante considerazione. Se in tempi remoti (ma remoti quanto, poi?) la credenza ultraterrena in uno o più Dei prevedeva che si dovesse ottenere la benevolenza di questi tramite un sacrificio di uomini o animali (e a Pasqua l’agnello sacrificale è purtroppo ancora in voga), anche oggi occorre pagare il proprio debito per ottenere dal più terreno Dio della merce quello che si desidera. La tipologia moderna di offerta rituale è il denaro. Che, ovviamente, pretende anch’esso un sacrificio: quello del lavoro.

Qualsiasi religione ha bisogno di, e dunque pretende, sacrifici. Non ne può fare a meno, altrimenti non è più religione.

La dimensione religiosa dell’economia e della merce, dunque, è più che mai esplicita. Oggi questa religione viene seguita con non meno fanatismo e credulità di quanto accadeva con quelle del passato. Almeno è quanto succede nel mondo occidentale in cui viviamo.

Per finirla una buona volta con tutti gli Dei e con tutti gli idoli – anche con quelli materiali ma che possiedono, come abbiamo visto, una loro spiccata dimensione metafisica – occorre, forse, non solo che il singolo individuo rifiuti e rigetti da solo questi riti religiosi collettivi ma anche, e soprattutto, che prima o poi si riesca a scalzare questi stessi riti religiosi con altri riti che religiosi non siano ma che conservino comunque un loro senso collettivo. Perché forse è impossibile abolire del tutto la percezione della funzione positiva dell’esistenza di un rito da parte di una comunità umana ma è, invece, del tutto possibile introdurre un rito (o più riti) che non debbano prevedere sacrificio. Riti, dunque, che non siano religiosi, dato che, come abbiamo detto, l’aspetto religioso pretende e suggerisce sempre i suoi sacrifici.

Distruggere la religione della merce e il sacrificio dell’umanità lavoratrice che pretende, quindi, è forse possibile solo accettando riti collettivi completamente e radicalmente diversi: il rito del dono e quello della condivisione senza attendersi nulla in cambio, la fine di ogni transazione interessata e l’inizio di un godimento diretto e senza proibizioni di tipo religioso. Quello di cui tutte le chiese hanno paura e di cui hanno avuto terrore in ogni epoca.

Spazio Libertario “Sole e Baleno” Cesena

 

 

Pubblicato da http://www.lascintillaonline.org/

FUORI DAL CORO! FUORI DALLA MELMA POLITICANTE!

Diciamolo chiaramente. Agli anarchici – e quindi a chi scrive – tutte le
ciance sulla “costituzione più bella del mondo” e via discorrendo non
hanno mai minimamente interessato.
Sono solo sciocchezze e sciocchezze delle più grosse, dato
l’incontrovertibile punto di partenza – se proprio vogliamo scendere a
questo livello del discorso – che tutta quanta la retorica riguardante i
famosi/fumosi “diritti” su cui sarebbe imperniata la Costituzione
scritta nel 1948, è appunto rimasta quel che è sempre stata: retorica
appunto! Idealizzata quanto si vuole, soprattutto dalla sinistra, ma
tanto resta!
Non saranno né i buoni propositi, né il fatto di scomodare la sua
supposta natura “antifascista” nata dalla Resistenza, che ci faranno
dimenticare che le parti ideali sono sempre rimaste inapplicate, mentre
al contrario quella che oggi viene difesa a spada tratta contro i
tentativi di riforma di Renzi rimane la costituzione di uno Stato che,
ancora oggi, ha in uso leggi, procedure di polizia e codici penali del
passato regime fascista (e non ce ne sorprendiamo, del resto) senza
contare il rinnovo del concordato con la Chiesa cattolica siglato anche
dal comunista Togliatti. Uno Stato che già nel 1948 arrestava ed
imprigionava i partigiani e rimetteva al proprio posto di comando
prefetti, questori e uomini del passato regime mussoliniano. Del resto,
è bene evidente la continuità dello Stato repubblicano col suo
ingombrante predecessore.
La costituzione è stata solo un utile paravento dietro il quale lo Stato
ha potuto continuare a mettere in atto le sue nefandezze contro i
lavoratori e gli sfruttati, ma in modo che ogni critica ed opposizione
sociale ai nuovi assetti di potere fossero bollate come antidemocratiche
e proto-fasciste. Con questo si spiega anche il mancato sviluppo di una
vera opposizione di classe da parte delle componenti della sinistra
italiana, che su questo punto hanno sempre dimostrato una sudditanza
quasi patologica verso l’intoccabilità delle istituzioni
rappresentative, anche quando queste componenti amavano presentarsi come
sedicenti rivoluzionarie.
Una sudditanza che appare incredibile. Come si può, infatti, concepire
che la libertà – la libertà vera, quella integrale – possa in qualche
modo essere riconosciuta e salvaguardata da un pezzo di carta, quale che
sia, se persino lo Stato stesso, che ne dovrebbe essere l’interprete, è
consapevole che quello che alcuni chiamano la “carta fondamentale” è
invece carta straccia che si può modificare seguendo gli interessi del
momento?
É fin troppo chiaro che la funzione della Costituzione è solo simbolica.
Sono i rapporti di forza in un dato momento che creano le premesse e le
condizioni per la nascita e il consolidarsi dei cosiddetti “diritti” (a
cui i libertari però preferiscono sempre il termine libertà, anche
perché i due termini non sono sinonimi) e non le costituzioni, che
semmai sono il tentativo pretestuoso di congelare questi rapporti,
sempre mutevoli nel corso del tempo e mai dati una volta per sempre.
Questi rapporti di forza si determinano solo in un modo: attraverso la
guerra sociale di una parte contro l’altra. Guerra che vede
fronteggiarsi da sempre due classi: la classe degli sfruttatori e la
classe degli sfruttati.
Oggi, è evidente anche ad un cieco che i rapporti di forza appaiono
completamente sbilanciati dalla parte degli sfruttatori. É chi detiene
il potere – politico ed economico – che sta conducendo una spietata
guerra di classe contro gli sfruttati e gli esclusi di questo mondo.
É quindi tanto più evidente che il tentativo di riformare la
costituzione in qualche sua parte (e di modifiche dal 1948 ce ne sono
già state tante) attraverso l’abolizione del Senato della Repubblica,
che fa il paio con la paventata promulgazione della nuova legge
elettorale che garantirà una maggioranza bulgara alla Camera per il
partito che prenderà più voti alle elezioni (che ricorda la famosa legge
Acerbo o “legge truffa” che consentì a Mussolini l’instaurazione della
dittatura) partono appunto dalla stessa logica: sono esempi, tra gli
altri, di quell’arrogante esibizione di forza da parte di uno Stato che,
sentendosi sicuro di sé, cerca oggi di snellire le proprie appesantite
burocrazie in direzione di un più efficace “decisionismo” politico e nel
contempo estendere ed allargare la propria efficacia coercitiva nei
confronti degli sfruttati. Il ché porterebbe ad un rafforzamento
dell’esecutivo governativo, naturalmente a beneficio degli interessi
privati a cui lo Stato fa capo. Rafforzamento che contraddice
palesemente, tra l’altro, tutti i discorsi sulla presunta sovranità
minacciata dello Stato, portati avanti sia dai “sovranisti” di destra
(grillini, leghisti, neofascisti, nazionalisti…) sia da alcuni
neomarxisti o postmarxisti che dir si voglia. Come se lo Stato fosse mai
stato altro da quel cane da guardia del Capitalismo nazionale ed
internazionale che è!
Bene, anzi, male! Di fronte a questo scenario, infatti, il piano
dell’opposizione parlamentare – ma anche di una parte della sinistra
extraparlamentare (extraparlamentare non per sua scelta, evidentemente)
– allo schiavetto dei potentati capitalistici, cioè Matteo Renzi, si
sono ridotte a due sole opzioni: la promulgazione di un referendum
contro la riforma costituzionale e la speranza riposta nell’intervento
della Corte Costituzionale affinché essa invalidi il testo della legge
elettorale (L’Italicum). Un po’ poco, a parere di chi scrive, per
tentare di spostare davvero i rapporti di forza di cui parlavamo
poc’anzi.
Ma, alla fine dei conti, vi è davvero in questa composita opposizione a
Renzi la volontà di spostare questi benedetti rapporti di forza? O è
invece, come è ovvio, solo un tentativo per farlo cadere? E con quale
prospettiva di breve e lunga durata? La semplice volontà di far cadere
Renzi non può avere, come è scontato, nessuna progettualità da portare
nel quotidiano, sul lato pratico, negli aspetti che riguardano la vita
delle persone. I comitati referendari per il NO, in cui è confluito come
una melma un po’ di tutto, ci hanno detto di difendere nientemeno che la
“Democrazia” con la D maiuscola, quando in realtà si sta parlando della
pura conservazione del Senato della Repubblica così com’è (con la
riforma esso diventerebbe un mero organo consultivo composto da Sindaci
e Consiglieri di Regione). Un pretesto tra i tanti. Questa grande prova
di efficienza organizzativa ed operativa è stata uno spreco e un
dispendio enorme di energie, nonché un’enorme presa per i fondelli.
Melma politicante che invece che soffermarsi sui problemi reali delle
persone e cercare di combatterli sul terreno del conflitto sociale,
preferisce ancora una volta concentrari sulle urne, nel desolante vuoto
delle piazze.
Mentre l’opposizione sociale langue, mentre la società scivola sempre
più a destra, mentre i cosiddetti diritti sanciti dalla Costituzione di
cui ci si fa paladini vengono calpestati e non certo da oggi (“Diritto
al lavoro”? Che ne penserebbe il lavoratore GLS schiacciato sotto il
camion aziendale mesi fa perchè stava scioperando?) facciamoci una
semplice domanda: dove sono oggi questi politicanti cialtroni mentre
tutto ciò accade?
Da un’altra parte, naturalmente: a difendere la “Costituzione più bella
del mondo”.

ALCUNE ANARCHICHE E ALCUNI ANARCHICI DELLA ROMAGNA

 

libertà

 

SOLIDALI CON CHI LOTTA – I FOGLI DI VIA SOLO A CHI SFRUTTA!

Da mesi un gruppo di lavoratori di Stemi Logistica occupati presso il
cantiere Artoni di Pievesestina (Cesena) sta lottando per ottenere il
reintegro dopo il licenziamento in agosto di 28 di loro, per aver
avanzato diritti. Con scioperi, presidi e picchetti all’esterno delle
aziende clienti di Stemi, questi lavoratori stanno portando avanti una
dura vertenza che li vede mettersi in gioco direttamente. Ad oggi il
loro reintegro non è ancora avvenuto.

Nel frattempo, a dicembre, sono arrivate invece una decina di procedure
per l’attivazione della misura del “foglio di via” dal comune di Cesena
contro attivisti sindacali, militanti del PCL Romagna e dello Spazio
Libertario “Sole e Baleno” di Cesena e semplici solidali. La “colpa” di
queste persone: essere stati presenti a picchetti davanti alle società
clienti di Stemi per dare la propria solidarietà a dei lavoratori senza
stipendio da agosto.

Queste misure intendevano, in modo evidente, colpire la solidarietà
portata da più parti a questi lavoratori. Quello dei fogli di via è
diventato un vero e proprio modus operandi della Questura di Forlì: sono
stati distribuiti a chiunque faccia attività politica sul territorio,
dall’area libertaria agli antifascisti, passando ora ai lavoratori in
lotta e ai loro sodali.
Anche se recentemente i preavvisi di foglio di via sono stati revocati,
resta comunque il grave tentativo di intimidazione.
Di fronte a ciò è impensabile non prendere una posizione precisa: quando
è in pericolo la libertà di alcuni è in gioco la libertà di tutti!

•Diciamo basta alla repressione sistematica nei confronti delle lotte
sociali in questa provincia e a misure, già in uso nel regime fascista,
che possono colpire tutti e tutte, in ogni momento!
•Ci schieriamo al fianco di coloro che hanno subito queste gravi
intimidazioni e coi lavoratori in lotta contro lo sfruttamento
padronale!

comitato contro la repressione delle lotte Forlì-Cesena
comitatonorepressione@gmail.com

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NOI, GLI ALTRI, GLI ANIMALI. UN CONTRIBUTO DI LUCIA CALZÀ

Nel marzo 2015, tra le presentazioni di libri fatte al “Sole e Baleno”, una in particolare ci ha colpito molto favorevolmente perché capace di aprire discussioni, ragionamenti e stimolare pensieri. Cosa mai banale! Si tratta del libro “Marina. Noi, gli altri, gli animali” di Lucia Calzà, un’amica del Trentino-Alto Adige. Un bel libro – per chi volesse leggerlo è presente una copia nella biblioteca dello spazio – da cui è nato un altrettanto bel confronto. Abbiamo perciò pensato di proporre a Lucia la seguente intervista, convinti che questa possa essere di ulteriore arricchimento e stimolo alla lettura del libro (per richieste all’autrice: luciacalza@libero.it).

 

1) Lucia, ben lieti di risentirci. Dalla lettura del tuo libro e anche dalla presentazione al “Sole e Baleno” sono emersi molti spunti di lettura critica riguardo il rapporto con l’ “Altro”. Ma partiamo dall’inizio: chi era Marina?

 

Prima di tutto grazie dell’attenzione che dimostrate all’argomento e ancora grazie della vostra ospitalità nella serata di presentazione del libro con clima amichevole e ottimo cibo.

Marina (1914) era una persona che non poteva essere classificata né nella categoria del maschile né in quella del femminile comunemente inteso. A causa della compresenza in se di maschile e femminile non ha avuto la possibilità di determinare in modo libero la sua vita subendo il confino fascista (1938), il manicomio criminale, quello civile e lo stigma sociale poi fino alla morte (1988).
2) Qual’è stata la “molla” che ti ha spinto a scrivere di lei e quanto peso, in questo, hanno avuto le tue esperienze personali, raccontate in parallelo alla storia di Marina?

 

Credo di poter dire con certezza che non avrei mai scritto di Marina se non mi fosse capitato di vivere in prima persona una situazione di confusione tra maschile e femminile. L’argomento del genere, della intersessualità e della transessualità forse li avrei conosciuti ugualmente ma in modo molto superficiale.

3) Emerge dal tuo libro un grosso lavoro di ricerca, soprattutto testimoniale, di persone che si ricordavano di Marina e della sua storia. Un encomiabile lavoro di rimozione dalla polvere del tempo di un’esistenza particolare e sofferta. Da alcune testimonianze che hai raccolto si evince la difficoltà a riconoscerle il femminile per cui aveva lottato una vita intera, continuando a riferirsi a lei come ad un “lui”. Secondo te, quant’è ancora difficile oggi sganciarsi da certi pregiudizi?

 

La maggior parte delle persone con cui ho parlato non ha mai avuto occasione di riflettere con un minimo di profondità sulla condizione di Marina. E mi fa impressione riconoscere che anche chi ha conservato di lei un ricordo di simpatia possa avere nei suoi confronti un beato atteggiamento di sufficienza. Di Marina si può beatamente sorridere, per la sua evidente bizzarria, per il suo evidente essere fuori dai problemi del mondo reale. Questo suo dato offusca e annulla la sua persona: pochi si chiedono come sia stato il suo passato, e come avrebbe potuto essere diversa la sua vita. Poche persone sentono che a Marina andrebbero fatte delle scuse. La cosa che emerge invece è la presunta “normalità” della sua condizione di esclusione. Marina evidentemente troppo diversa perché si potesse immaginare in mezzo a noi. E questo è il pregiudizio, un dato fatto nostro senza la verifica della conoscenza. Poi c’è l’abitudine, e probabilmente le due cose si spalleggiano felicemente l’una con l’altra. Le persone che utilizzano ancora oggi il maschile nei confronti di Marina non hanno mai avuto l’occasione di mettere in discussione quella che per loro era la realtà delle cose. Noto che le persone che faticano di più a donarmi il femminile che chiedo per me sono quelle che mi conoscono da sempre e che non frequento abbastanza spesso. In queste persone prevale l’abitudine e scarseggia quell’esercizio quotidiano che la potrebbe contrastare. Per contrastare una abitudine che è sia personale che sociale penso che servano soprattutto due cose, un deciso momento di riflessione e un impegno della volontà. Detto questo è bello vedere che esistono persone che faticano molto meno a cambiare paradigma, e questo nasce certamente da un diverso modo di sentire le cose: una minore fissazione sulle categorie preimpostate e una maggiore attenzione a ciò che vi sta dietro.

Marina non polemizzava sul riconoscimento esterno del suo femminile, e nessuno lo faceva per lei.

Oggi la situazione è diversa perché la richiesta si è fatta forte e decisa. E forte e decisa, anche se per fortuna minoritaria, è anche la risposta di chi non accetta queste richieste.
4) Parlando di pregiudizi, per omosessuali e transessuali questo ha voluto dire spesso anni di confino, carcere e/o manicomio. Marina ne ha assaggiate le “cure” sulla propria pelle sia durante il regime fascista che in epoca repubblicana. La fine della seconda guerra mondiale non ha coinciso con la fine delle discriminazioni: la “liberazione” si è scordata di loro. Ce ne puoi ricordare degli esempi? E come consideri questa ipocrisia del regime politico odierno, che mentre afferma di salvaguardare la libertà dell’individuo la calpesta tranquillamente con straordinaria perseveranza?

 

Gli esempi possono partire dal fatto che i prigionieri omosessuali dei campi di sterminio nazisti al momento della liberazione e negli anni a seguire si rendessero invisibili perché la legge tedesca li avrebbe potuti trasferire in carcere invece di ridargli la libertà.

Le persone transessuali che hanno subito come Marina confino e carcere fino a tutti gli anni ’60.

Mia madre che ha potuto dirmi “meglio un figlio morto”.

Il fatto che quando non avevo i documenti al femminile in caso di ricovero in ospedale sarei stata messa in una stanza maschile.

Quando non avevo i documenti al femminile mi hanno rifiutato un lavoro in una lavanderia industriale per problemi di bagni e spogliatoi: ora invece per la crisi…

Il fatto che in un corso organizzato dalla Camera del lavoro avessi chiesto che potesse essere scritto a matita il nome Lucia accanto al nome Nicola, con la risposta che non era possibile.

5) Nel libro parli anche di intersessualità e descrivi la terribile prassi medica di intervenire chirurgicamente sui bambini che presentino alla nascita “devianze” anatomico-genitali rispetto ai canoni del binarismo maschio/femmina. Questo accade, secondo stime che tu riporti, a migliaia di bambini. Ci vuoi parlare di questa questione quasi totalmente ignorata?

 

Rievocando la storia di Marina in diversi contesti della mia zona sto scoprendo che ogni paese nel passato aveva una persona un po’ uomo e un po’ donna. Si può comprendere che sia così, se accettiamo il dato ufficiale che stima nell’1.7 % le nascite di bambini con un certo grado di intersessualità. Queste persone a partire dagli anni ’50 sono scomparse perché la società le ha progressivamente eliminate. La medicina e la chirurgia si sono proposte di offrire la migliore soluzione a una situazione di ambiguità sessuale e di genere ritenuta insostenibile. Ora anche in Italia sta uscendo allo scoperto un movimento di persone intersessuali che contestano quello che è stato arbitrariamente loro imposto e chiedono un cambiamento (cambiamento da poco affrontato in Germania con una legge approvata a maggio 2013 ed entrata in vigore il primo novembre 2013*)
6) Nel movimento lgbt esistono una varietà di posizioni, tra loro anche molto differenti. Ad esempio il movimento transgender e Queer, sviluppatosi negli ultimi anni anche in Italia, critica apertamente i riferimenti alle convenzioni sociali esistenti (come può essere il continuare a riferirsi al canonico binarismo maschile-femminile) e parte dalla decostruzione dello stesso immaginario estetico. Leggendo il tuo libro, e dalle discussioni fatte assieme, tu però sembri pensarla in maniera diversa ovvero che non si possa prescindere del tutto dalla costruzione di una propria identità senza passare attraverso il riconoscimento e il giudizio degli altri.

 

Mi pare di avervi già avvisato che io posso parlare e scrivere solo a partire dalla mia esperienza personale e so che questo può comportare un orizzonte ristretto, tenetene conto.

Nella mia vicenda di vita io non sono stata capace di prescindere dal riconoscimento e dal giudizio degli altri. Peraltro credo sia molto evidente che più viviamo a contatto con gli altri, più dipendiamo da ciò che gli altri ci rispecchiano. Sentirci parte di un gruppo di uguali (o diseguali) ci rassicura. Un primo grande gruppo cui possiamo rassicurarci di appartenere è quello degli esseri umani. Forse subito dopo c’è l’essere maschi e l’essere femmine. Suppongo che la persona Queer esista perché oggi esiste la corrispettiva comunità.

In questo periodo mi è capitato di incontrare un nuovo gruppo di persone al cui interno ho notato quella che mi sembrava una donna a cui però il gruppo si rivolgeva al maschile. Mi ha colpito il modo in cui questa persona ha spostato un calcetto, con movimenti energici e decisi e abbassandolo sul pavimento in modo rumoroso. Ho pensato che, volontariamente o in modo automatico, quella fosse la perfetta rappresentazione di come un uomo normalmente avrebbe svolto quella azione. “Il peso del calcetto è una inezia per me”. La maggior parte delle donne genetiche secondo me avrebbe invece messo in risalto, analogamente in modo inconsapevole o per automatismo, che stava compiendo uno sforzo al limite delle sue possibilità, una occasione tra tante di rimarcare la sua particolarità di donna caratterizzata anche da una ridotta forza fisica. Alla fine della serata ho chiesto a questa persona quale era la sua situazione di genere. Si trattava di una donna genetica che desiderava presentarsi al mondo al maschile. Allora subito gli ho chiesto se non considerasse di aiutarsi modificando il suo aspetto, e la sua risposta mi è sembrata molto sincera ed onesta. Per il momento il fatto che il gruppo di persone che lui frequentava avesse accolto la sua richiesta di maschile gli era sufficiente, ma fuori da quell’ambiente tutto era diverso e per questo non poteva garantire di non decidere in un futuro di modificare il proprio corpo per raggiungere un riconoscimento più allargato.

Non so se ho risposto alla domanda.

7) Il tuo libro, nella seconda parte, ha il merito particolare di porre all’attenzione del lettore anche altre discriminazioni, oltre quelle legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere: il razzismo e lo specismo. Qual’è il legame che unisce queste differenti discriminazioni tra loro?

 

Ancora una volta mi rifaccio alla mia esperienza. Il dipendere dagli altri, nel senso di essere nella condizione di dover chiedere e di trovarsi nella totale insicurezza sul tipo di risposta che avrei potuto ricevere è stata per me una esperienza molto importante. La mia vita determinata da queste risposte, la mia vita sospesa tra la domanda e la risposta. Incertezza paura fragilità vulnerabilità bisogno. Quante vite sono in una situazione simile? Tante, e quante non trovano ascolto?

8) Scrivi nel libro: “Non posso immaginare un mondo migliore che non sia migliore per tutti, anche per gli animali”. E come “Sole e Baleno” la pensiamo allo stesso modo. Perchè, secondo il tuo punto di vista, molti antirazzisti ed antisessisti, ma anche molti libertari in generale, fanno ancora così fatica a pensarsi anche come antispecisti?

 

Nel libro ho tentato di stimolare il pensiero se sia giusto che la normalità e l’abitudine siano troppo spesso le nostre guide, visto che solitamente si tratta di guide completamente cieche. Ma trovare i motivi di questa difficoltà a estendere empatia libertà diritti, mi spiace…mi chiedete troppo. A volte penso che l’antispecismo sia respingente perché proclama qualcosa di irrealizzabile, se preso alla lettera. Chi messo nella condizione di scegliere tra la vita di un coniglio e quella di un bambino sceglie quella del coniglio? Forse andrebbe evitato che le persone possano fermarsi ai casi limite per liquidare frettolosamente l’antispecismo come un estremismo.
9) Bene Lucia, siamo giunti alla fine di quest’intervista. Ti ringraziamo di cuore per la disponibilità. Se vuoi, puoi concludere con un pensiero, in piena libertà. Speriamo di vederci presto.

 

Allora in piena libertà vi faccio anch’io una piccola intervista:

Quanto per voi essere anarchici è motivo di compiacimento?

Quanto essere anarchici è sostenuto dal riconoscimento degli altri (altri del gruppo)?

Quanto nel vostro modo di apparire (vestiario rigorosamente no logo, no stiro, si pelo di cane, no profumo, no pettine – perdonatemi la stereotipia) dipende da una propria particolare identità e quanto passa attraverso il riconoscimento e il giudizio degli altri (altri del gruppo)?

Qualcuno mi aveva chiesto qualcosa in merito al fatto che la transessualità fosse qualcosa di poco naturale, basandosi su chimica e medicina. Avevo risposto che mi rammarica appesantire il mio corpo con la chimica e che mi rammarica che la mia pipì possa essere un prodotto inquinante. Ma voi in caso di bisogno non ricorrete alla chimica e alla tecnologia? Non inquinate l’aria utilizzando la macchina? Sempre una questione di misura, di ricerca del limite.

Il compromesso, sempre?

 

Un sorriso e un abbraccio a tutt* Voi

Lucia

 

…………………………..

NOTE:

 

*La Germania riconosce il terzo sesso (articolo tratto da “Internazionale” 5 aprile 2015)

Dal 1 novembre la Germania sarà il primo paese in Europa dove i bambini che presentano alla nascita organi genitali non esclusivamente femminili o maschili potranno essere registrati all’anagrafe come “neutri”. I genitori potranno scegliere di non determinare il sesso del bambino nell’atto di nascita registrato all’anagrafe. Da adulti gli intersessuali potranno scegliere di optare per uno dei due sessi o rimanere indeterminati. (…) Questo cambiamento aiuterà i genitori di bambini intersessuali ad affrontare con calma e senza pressione la questione dell’identità sessuale del proprio figlio. Spesso infatti binari burocratici troppo rigidi portano i genitori a sottoporre i bambini intersessuali a operazioni chirurgiche premature.
Secondo “Le Monde” un bambino su cinquemila in Europa presenta alla nascita organi genitali “ambigui” e da anni gli attivisti conducono una battaglia per abolire la divisione binaria dei generi che porta a interventi chirurgici nell’infanzia.
(…) Le conseguenze legali di questa nuova norma sono più importanti di quello che si pensi. Intanto da novembre il ministero dell’interno dovrà predisporre dei passaporti con una casella per il terzo sesso, e questo vale anche per tutti gli altri documenti. Inoltre ci sono delle conseguenze sulle leggi che regolano il matrimonio. In Germania il matrimonio è legale solo tra un uomo e una donna e le unioni civili sono possibili solo tra persone dello stesso sesso. L’adozione della nuova norma avrà delle ricadute anche su questa materia che però ancora non sono state definite. Tutta la vita degli individui è regolata secondo una rigida separazione binaria tra maschi e femmine. “I bagni nelle scuole sono divisi per genere e anche alcune attività sportive. La legge non cambierà tutto questo, non permetterà automaticamente ai bambini intersessuali di essere se stessi”, afferma Silvan Agius, attivista di un’associazione per i diritti degli intersessuali (…).
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REPRESSIONE E PARADOSSI NELLA TERRA DEL PASSATORE 

Nelle ultime settimane una serie di misure repressive colpisce un grande numero di persone in diverse città della Romagna.

Il bilancio della vasta operazione, messa in atto dalla questura di Forlì, comprende 4 fogli di via dalla città, 3 avvisi orali, 47 avvisi di garanzia (più altri 4 a carico di minorenni) ed alcune visite a casa da parte dei Carabinieri; le accuse sono le più svariate, a partire dai fatti relativi all’occupazione del Maceria nel novembre dello scorso anno e del GiardinOccupato a febbraio del 2013, fino ad arrivare alle manifestazioni ed ai presidi antifascisti ed in solidarietà allo sgombero del Maceria che hanno avuto luogo a Forlì durante l’inverno passato. Il tutto condito da singoli episodi specifici avvenuti nel corso delle sopracitate mobilitazioni.

Lo spazio libertario “Sole e Baleno” di Cesena desidera espimere tutta la propria solidarietà ai gruppi e alle singole individualità colpite in qualche modo da questi provvedimenti, mostrando a viso aperto la propria affinità politica e morale alle pratiche ad essi contestate dalla giustizia istituzionale.
La riappropriazione di appartamenti comunali lasciati alle macerie dall’amministrazione e l’utilizzo dell’azione diretta per aprire un dibattito allargato sulla questione della casa e degli sfratti; la risistemazione di edifici pubblici in disuso da anni per far fronte alla penuria di spazi aggregativi spontanei in cui affermare la prassi dell’autogestione e della condivisione; la creazione di attività culturali e ludiche che non siano merce alla portata di pochi… tutte priorità politiche ed umane che avranno sempre il nostro appoggio e la nostra complicità incondizionata. Anche per noi l’antifacismo (altra attitudine “incriminata” negli atti notificati) non è affare da relegare ai libri di storia o al folclore popolare, ma rappresenta al contrario una consuetudine quotidiana, un’urgenza di assoluta attualità a contrastare il razzismo dilagante e la deriva autoritaria di larga parte dell’odierno tessuto sociale.

Nel manifestare la nostra vicinanza alle persone colpite emerge inevitabilmente la volontà di esprimere alcune considerazioni in merito.

Innanzitutto non possiamo fare a meno di notare la grande quantità di nomi inseriti nella lista degli indagati e la trasversalità delle accuse mosse a queste persone. E’ palese la volontà di infliggere il maggior danno possibile attribuendo la quasi totalità dei reati a tutti i soggetti in questione, indipendentemente dalla presenza o meno dei singoli nello specifico contesto.

Altro aspetto sicuramente significativo è costituito dall’utilizzo dell’avviso orale, pratica non nuova in Romagna, ma non di meno emblematica dell’ostinato tentativo da parte delle autorità locali di mutare la condotta di coloro che quotidianamente portano avanti le proprie idee con coerenza e determinazione. Infine, provvedimento molto grave ai danni della libertà individuale, e che dovrebbe offendere la sensibilità di ognuno, l’emanazione di fogli di via, ovvero l’allontanamento da un determinato comune per una durata di 3 anni.

Ora, non è nostra intenzione disquisire sulla rigidità delle istituzioni democratiche, sulla sproporzione delle misure adottate relativamente ai capi d’accusa in ballo (fondamentalmente parliamo soprattutto di occupazioni di immobili e manifestazioni non preavvisate), né tantomeno abbandonarci a facili vittimismi e alla rassegnazione ad un mondo grigio fatto di consumismo e competizione sociale. Sappiamo bene che le istituzioni stesse, vedendo minata la propria credibilità da azioni o atteggiamenti collettivi volti a smascherarne le iniquità e le contraddizioni sempre più evidenti, sono pronte a difendersi con ogni mezzo alla propria portata. Sappiamo anche che a spaventare non sono i gesti dei singoli, quanto la capacità da parte di chi lotta di aggregare persone, di tessere fitte relazioni di solidarietà, di fungere da cassa di risonanza per un disagio comune in grado di mettere in discussione le scelte verticistiche di assessori e sindaci.

Quello che invece vorremmo evidenziare, è la totale arbitrarietà del concetto di legittimità espresso da chi ci governa. L’insieme delle leggi e delle norme che regolano la vita nelle città in cui siamo nati e cresciuti, non costituiscono lo specchio delle reali esigenze delle persone, quanto la traduzione massificata dell’interesse di quei pochi che detengono il potere politico ed economico nella civiltà del profitto.

E così il concetto di proprietà privata viene elevato ad una dimensione quasi ultraterrena, e diventa addirittura lecito che tante persone non abbiano un tetto sopra la testa, proprio mentre case sfitte rimangono per anni a marcire nel degrado. La socialità avviene solo in termini di rapporti commerciali, e chi tenta di uscire dal vincolo gestore/cliente viene subito ricondotto alla “normalità”; e a questo proposito, proprio mentre vengono notificate le prime denunce per l’occupazione del Maceria a Forlì, anche lo spazio libertario “Sole e Baleno” viene raggiunto da sgradevoli attenzioni da parte della Polizia Commerciale di Cesena, che tenta di allinearlo ai criteri di un qualunque locale, sorvolandone la natura non lucrosa e mettendone alla prova la sopravvivenza attraverso l’applicazione di normative e sanzioni. Di antifascismo infine, e non è una novità, si riempiono la bocca molti partiti ed istituzioni in Romagna, a cominciare dalla giunta comunale del PD qui a Cesena. Ma vogliamo far presente a tutti che, proprio mentre ai colpiti dalla repressione venivano contestati a Forlì i capi d’accusa relativi all’antifascismo di strada messo in campo per contrastare i gruppi fascisti presenti sul territorio, a Cesena ad alcune persone veniva proibito di appendere un volantino siglato “antifascisti/e-antirazzisti/e” in uno spazio del Comune, in quanto giudicato “troppo politicizzato” semplicemente per la firma apposta.

Occorre ad ogni costo opporre tutte le proprie forze all’alto grado di censura messo in campo anche a livello locale dalle autorità al fine di smorzare le lotte sul territorio e di ricondurle entro canoni concessi dall’ordine costituito. E’ necessario manifestare a gran voce l’appoggio più incontaminato a tutti coloro che si battono per un mondo più giusto, costruito dal basso, libero da fascismi e pregiudizi razziali.

Come sempre nelle strade, in mezzo alla gente.

Un abbraccio di solidarietà a tutti i denunciati!!!

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Spazio libertario “Sole e Baleno” ed Equal Rights Forlì

Su quanto recentemente accaduto a Forlì…

 

Il 23 novembre 2012, a Forlì, un cospicuo gruppo di individui decide di rimboccarsi le maniche ed entrare in una delle tante proprietà comunali lasciate all’abbandono e al degrado da svariati anni, un edificio di tre piani ubicato in via Maceri 22, in pieno centro storico.

Nasce il MaceriA occupato!

Il proposito iniziale è quello di una 3 giorni di iniziative aperte a tutti per denunciare la responsabilità dell’amministrazione locale in merito al problema degli sfratti e della penuria di spazi sociali in città.

Ma la sorprendente risposta delle innumerevoli persone accorse all’evento, l’appoggio morale di gran parte del vicinato, la solidarietà raccolta in lungo e in largo per le vie della città ed altrove, suggeriscono agli occupanti la strada da intraprendere: non si possono e non si devono restituire quelle mura  all’abbandono, occorre resistere  ad oltranza e difenderle a denti stretti.

Non si può cedere ai corteggiamenti della giunta comunale e alle minacce della questura, autori di soffocanti norme antidegrado che trasformano ordinanza dopo ordinanza le città in enormi carceri a cielo aperto.

Non importa quanto legale o illegale sia l’occupazione di uno stabile in disuso e la sua restituzione alla fruibilità pubblica, dal momento che la legalità non corrisponde alle reali esigenze delle persone, ma solo agli interessi di pochi.

Perché a Forlì è impellente il bisogno di un luogo fisico in cui rapportarsi in maniera orizzontale, antiautoritaria, liberi da pregiudizi e stereotipi razzisti, lontani da logiche consumistiche e di profitto.

Così iniziano i primi lavori di ristrutturazione atti a rendere vivibile lo spazio, e quelle stanze, vuote e malsane fino a pochi giorni prima, cominciano a pulsare di persone, suoni, immagini, idee. Sempre più individui iniziano a sentirsi a casa.

Chi di noi è passato al MaceriA nel trascorrere dei giorni, ha potuto respirare a pieni polmoni un’aria da tempo dimenticata qui in Romagna, incrociando gente, vivendo momenti di genuina socialità e condivisione disinteressata, attraversando spazi di confronto politico e situazioni di dibattito aperto, partecipando ad assemblee decisionali e ad iniziative pubbliche di ogni tipo.

Un sogno di libertà infinita sfiorato con un dito e messo in pratica nel quotidiano.

Ma un sogno che si infrange, come troppe volte è accaduto da queste parti, per mano di uomini in divisa. L’8 gennaio del 2013. E’ un disco ormai vecchio, di note già sentite fino alla nausea, quello che ancora oggi ci suona il sindaco Balzani al cospetto del muro di cemento che gli operai di turno hanno posto all’entrata del MaceriA: disponibilità al dialogo, apertura alle esigenze della collettività, tentativo di rappacificazione sociale. Parole che non interessano.

 

Lo Spazio Libertario “Sole e Baleno” di Cesena e l’Equal Rights Forlì sentono l’esigenza di prendere una posizione netta in merito a quanto accaduto, additando pubblicamente le politiche locali per il ruolo rivestito nella chiusura di un altro spazio vitale che va ad aggiungersi alla lista dei tanti sottratti alla lotta nel trascorrere degli anni. Li ricordiamo e li portiamo nel cuore uno ad uno, ed ogni sgombero non fa altro che amplificare in maniera esponenziale l’inimicizia nei confronti delle istituzioni comunali delle nostre città. Avvertiamo il bisogno di manifestare apertamente tutta la nostra solidarietà verso le persone che hanno reso vivo il MaceriA per oltre quaranta giorni, e che ora fuori da quelle mura stanno continuando a portare il MaceriA in strada, accendendo una scintilla di ribellione che un muro di cemento non potrà mai soffocare.

A loro un abbraccio fraterno…  MaceriA OVUNQUE!

 

Spazio libertario “Sole e Baleno”

Equal Rights Forlì

 

 

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO:

Oggi, alle 18.45, nei pressi del centro commerciale Famila a Cesena, ci siamo imbattuti nel volantino di cui alleghiamo la foto.
Data l’importanza del contenuto, e la nostra solidarietà incondizionata nei confronti di chi ancora intraprende la pratica dell’occupazione e dell’autogestione, abbiamo deciso ribatterne il testo (l’immagine lascia a desiderare), e di diffonderlo ai nostri contatti.
Ci auguriamo facciate altrettanto.

Lo spazio libertario ‘Sole e Baleno’

AL CONFINO CONTINUA…

CESENA, 08/05/2008

Il Comune di Cesena, attraverso l’ausilio di un dispiegamento spropositato di forze dell’ordine, pompieri ed operai, procede allo sgombero dell’ex scuola elementare di Pontecucco, spazio denominato “Al Confino squat”, da 8 anni occupato ed autogestito senza mediazioni con le istituzioni locali, e da molti di più attivo e conosciuto in città come fulcro di aggregazione spontanea e cultura antagonista non mercificata. Uno sfratto coatto che pone fine ad una lunga esperienza fatta di lotte antiautoritarie e sperimentazione di modelli di vita libertari, non gerarchici, estranei a rapporti meramente basati su interessi economici o partitici.

La scusa è sempre la stessa, quella della legalità a tutti i costi e del rispetto delle legittime graduatorie di concessione degli spazi alle associazioni, così tante, a detta della controparte comunale, “in fila” da tempo per usufruire dell’edificio in questione.

CESENA, NOVEMBRE 2010

A distanza di quasi 3 anni piovono inaspettati decreti di condanna su quattro persone alle quali viene contestata la partecipazione ad una delle innumerevoli iniziative pubbliche spontanee mosse dai più svariati gruppi di solidali durante il periodo precedente lo sgombero di Al Confino squat. E’ chiara a tutti la natura politica di tali istanze legali, che prendono forma solo molto tempo dopo i fatti, a riflettori mediatici ormai spenti.

L’ex scuola elementare di Pontecucco appare da allora ancora murata, abbandonata, fatiscente; la cura ed i segni della dedizione ad essa riservata un tempo dagli occupanti sono ormai un lontano ricordo. Il Comune di Cesena, troppo impegnato ad istituire “notti bianche” e sfarzosi momenti di delirio consumistico collettivo, a gettare cemento e a propinare situazioni di socialità preconfezionata di cui fruire in tempi e luoghi prestabiliti ed entro termini ben legiferati, preferisce lasciar andare in malora uno spazio che dovrebbe invece essere pubblico e a completa disposizione della collettività, piuttosto che vederlo vivo e pulsante di relazioni umane orizzontali, intrecciate dal basso e consolidate giorno dopo giorno attraverso l’autogestione più incontaminata. Altro che lista infinita di associazioni alla porta, questa è la realtà dei fatti!

CESENA, 31/12/2010

Infervorato dallo sdegno per questo stato delle cose, un nutrito gruppo di individui decide di dare una risposta concreta ai loschi disegni municipali, ponendo fine al buio e tornando a far rivivere di luce e suoni quelle mura.

Ameno per una notte… quella di Capodanno!

Il cemento via via cede sotto ai colpi degli utensili e si schiudono le porte ad una circostanza di fastoso convivio e condivisione generalizzata. Proprio laddove, fino a qualche ora prima, erano solo ragnatele e macerie. Musica e danze per tutta la notte alla faccia di chi crede di poter cancellare un percorso di lotta murandone porte e finestre.

Per tornare ancora una volta a ribadire a gran voce che

“LE IDEE NON SI SGOMBERANO”.